Formalmente, l’interesse privo di rischio (risk-free rate) è il rendimento atteso di un investimento considerato privo di rischio di default o di perdita di capitale. In pratica, questo concetto è un’idealizzazione, poiché nessun investimento è completamente privo di rischio. Tuttavia, si utilizza come proxy il rendimento di titoli di stato a breve termine di un paese con elevata stabilità economica e finanziaria, come ad esempio i Treasury Bills statunitensi (T-Bills). La scelta del titolo di stato dipende dal contesto e dalla valuta di riferimento.
L’importanza dell’interesse privo di rischio risiede nel suo ruolo fondamentale nella valutazione degli investimenti. Serve come benchmark per calcolare il premio per il rischio, ovvero il rendimento aggiuntivo richiesto dagli investitori per compensare il rischio associato a un investimento più rischioso. Ad esempio, se il tasso privo di rischio è del 2% e un’azione offre un rendimento atteso del 10%, il premio per il rischio è dell’8% (10% – 2%). Questo premio riflette la maggiore incertezza associata all’investimento azionario rispetto all’investimento in titoli di stato.
Nella pratica, l’interesse privo di rischio viene utilizzato in numerosi modelli finanziari, tra cui il Capital Asset Pricing Model (CAPM) per la determinazione del costo del capitale, il calcolo del valore attuale netto (VAN) di progetti di investimento e la valutazione di opzioni tramite modelli come il Black-Scholes. Consideriamo un esempio: se il tasso privo di rischio è del 3%, e si deve scontare un flusso di cassa futuro di 110 euro tra un anno, il valore attuale è di circa 106,80 euro (110 / 1.03). Questo calcolo utilizza il tasso privo di rischio per riflettere il costo opportunità del capitale.
Nonostante la sua utilità, l’interesse privo di rischio presenta dei limiti. La scelta del proxy per il tasso privo di rischio non è sempre univoca e può influenzare significativamente i risultati dei modelli finanziari. Inoltre, il tasso privo di rischio è un concetto statico che non tiene conto delle variazioni del rischio nel tempo. Infine, anche i titoli di stato, pur essendo considerati a basso rischio, non sono completamente immuni dal rischio, soprattutto nel lungo periodo, a causa dell’inflazione e delle fluttuazioni dei tassi di cambio.
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